Era uno degli artisti più attesi alla 31esima edizione del Festival Chorus, sabato 6 aprile. Sly Johnson, cantante dalla voce soul/funk et dall’anima rap, è riuscito subito ad accattivarsi il pubblico presente nell’Auditorium della Seine Musicale, complici la sua presenza scenica e l’accompagnamento della Corale Tama Vox.
A qualche settimana dall’uscita del suo nuovo singolo, Silvère, abbiamo incontrato Sly Johnson, curiosi di conoscere un po’ meglio questo artista dalla carriera ventennale.
- Ha vinto una Victoire de la Musique, due dischi d’oro e può vantare svariate collaborazioni con artisti importanti. Si aspettava tutto ciò quando ha iniziato vent’anni fa?
No, non me l’aspettavo affatto. Per di più, all’inizio quando ero un ragazzino il mio sogno non era cantare ma ballare. Dentro di me avevo un forte desiderio di riuscire in quello che facevo, nonostante le difficoltà e le paure. Soprattutto mio padre, come qualsiasi genitore, temeva per il mio futuro perché il mondo della musica non è facile. Però ci credevo molto, provavo una vera passione per quello che facevo e i riconoscimenti ottenuti mano a mano mi hanno motivato ancora di più.
- Quindi ha capito solo col tempo che poteva diventare une vera professione?
All’inizio lo vivevo davvero come un divertimento, un gioco. In seguito, mi sono lasciato prendere dal gioco e sono diventato un cantante professionista. Dopo aver fatto parte del Saïan Supa Crew ho sentito il bisogno di realizzarmi artisticamente e di trovare la mia strada.
- Come si potrebbe riassumere la sua musica in tre parole?
Soul, hip-hop, funky.
- Quali sono gli artisti che ammira di più ?
James Brown, D’Angelo, Bobby McFerrin, Rachelle Ferrell, Q-Tip del gruppo A Tribe Called Quest.
- Dopo numerose collaborazioni di successo con artisti quali Erik Truffaz, Camille, Oxmo Puccino, Ayo, è in arrivo, il 17 maggio, un album da solista e molto personale, intitolato Silvère: cosa dobbiamo aspettarci e perché ha scelto questo titolo ?
Ho deciso di chiamarlo Silvère perché è l’album che mi sento più vicino e visto che il mio vero nome è « Silvère », mi è sembrata una scelta coerente e logica perché è un album che parla soprattutto di me stesso e un pò di mio padre. Dopo i miei due primi singoli, 74 che è il mio anno di nascita e The Mic Buddah che si rifà al nome che avevo quando ero nel gruppo Saïan Supa Crew, questo nuovo album è un ritorno a me stesso, alle emozioni che ho vissuto e a quello che ho provato in vari momenti della mia vita. Sono storie in cui quasi tutti possono riconoscersi: parlo di gioia, tristezza, dubbi, ma soprattutto e più di tutto parlo di amore. È un album che ruota intorno all’amore: l’amore nei confronti dei genitori e l’amore verso se stessi (che in passato mi è mancato).
- Tecnicamente parlando, Silvère si differenzia dagli album precedenti ?
In effetti c’è una netta differenza rispetto ai brani che ho realizzato in passato: Silvère è molto più elettronico anche se rimane organico come produzione. Ho lavorato molto sulla voce perché volevo ottenere qualcosa di semplice, senza virtuosismi vocali. Volevo valorizzare la mia voce, fare in modo che si riconoscesse immediatamente.
- Esistono delle circostanze o dei luoghi che La ispirano di più per la composizione dei brani?
Sì, ho due luoghi di predilezione per scrivere i testi delle mie canzoni: il treno e casa mia. E’ in treno che ho trovato l’ispirazione per la quasi totalità dei brani del nuovo album. Quando devo scrivere i testi, devo assolutamente rinchiudermi in casa per un certo periodo. Soprattutto per questo disco, ho passato molto tempo a casa, steso sul mio letto, gli occhi chiusi, la mente in viaggio nel passato e un quadernetto a portata di mano.
- In quale genere di concerto preferisce esibirsi?
Amo cantare ovunque. Non appena salgo sul palco, quasiasi palco, mi sento appagato. E un privilegio potermi esibire qui alla Seine Musicale oggi. Ogni sala da concerto trasmette un’energia diversa. Se proprio dovessi scegliere, allora preferirei una sala da concerto abbastanza piccola perché mi emoziono di più quando sono più vicino al pubblico.
- In quale epoca avrebbe voluto vivere ?
Mi sarebbe piaciuto vivere negli anni Settanta negli Stati Uniti, per la musica che caratterizzava quell’epoca e per tutti quegli artisti che non ho avuto la fortuna di conoscere. Il mio sogno sarebbe stato incontrare James Brown in quegli anni.
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