- L’Italia accoglie con calore… Siete espressivi, entusiasti …
L’intervista non poteva iniziare meglio di così, mi sono detta. In effetti, i due rappresentanti di Scarecrow che abbiamo incontrato erano reduci da un concerto in Italia. Amano il pubblico italiano e il sentimento è reciproco. Ma non siamo i soli che si esaltano per le performances di questo gruppo che è ormai conosciuto a livello internazionale: dagli Stati Uniti all’Australia, dove sono attualmente in tournée.
Seduti a un bar vicino a Piazza della Repubblica, il rapper Antibiotik Daw e il bluesman Slim Paul hanno semplicemente un aspetto “very cool”. Trasmettono la sensazione di chi segue una passione, fare musica, niente di più. Nonostante la fama crescente, che li porta ad esibirsi in tutto il mondo, non hanno dimenticato la loro città natale, Tolosa, che continua ad essere per loro sinonimo di casa.
- (Antibiotik) Tolosa è influente in ambito musicale, non manca nessun genere: musica elettronica, Soul, Funk, Jazz, Pop… Siamo orgogliosi della nostra città.
E fu proprio a Tolosa che Antibiotik e Slim Paul si incontrarono, dieci anni fa. Un colpo di fulmine artistico. Entrambi volevano fare qualcosa di diverso, e così ebbero l’idea geniale di combinare il Blues e l’Hip-hop: due generi che si uniscono e due lingue, l’inglese e il francese, che si affiancano.
Come è stata accolta questa “fusione” da parte del pubblico?
- In modo molto positivo, tanto che a soli sei mesi dalla formazione del gruppo siamo partiti in tournée. Siamo sempre stati molto produttivi, con l’uscita di due album all’anno, e questo ci ha permesso di far progredire le cose.
Effettivamente le cifre parlano da sole: 17.000 seguaci su Facebook e 500 concerti in 6 anni, cioè una media di 6 esibizioni al mese. Vi aspettavate un successo di questa portata ?
- (Slim Paul) È vero che è stato rischioso ma è anche vero che si tratta di due generi che hanno origine nella cultura popolare, quindi non mi stupisce più. In ogni caso non l’abbiamo fatto per aver successo ma perché ci piace fare questo!
In particolare, vi interessa parlare della società nei vostri testi, soprattutto di quello che non funziona ai giorni nostri.
- (A.) I notiziari sono molto importanti per noi. Ci interessa osservare in che modo i media influenzano le generazioni.
- (S. P.) I nostri testi trasmettono anche il malumore dovuto alle ingiustizie del potere.
Il vostro ultimo album, “The Last”, è uscito a giugno: oltre a una critica della società, offrite uno sguardo più intimistico. Questo fa pensare a un’evoluzione nella vostra musica.
- (A.) Senza dubbio l’evoluzione è palese, frutto delle esperienze vissute. Siamo cresciuti negli anni (avevamo solo 25 anni quando abbiamo iniziato) e di conseguenza cambia il modo di guardare le cose e cambia anche il modo di scrivere i testi.
A tal proposito, come nasce un brano? Esistono dei luoghi e degli artisti che vi ispirano?
- (A.) Possiamo scrivere ovunque, in treno, in aereo…
- (S. P.) Abbiamo già collaborato con persone incontrate per caso ed è stato assolutamente interessante perché non era programmato. Se dovessimo ricevere proposte di collaborazioni, dovrebbe succedere così, in modo spontaneo, improvvisato, bevendo qualcosa seduti a un tavolo.
Questa mentalità serena rappresenta Scarecrow e giustifica la scelta di rimanere indipendenti: “Questo ci permette di prendere decisioni in modo autonomo e di vivere più tranquilli, con meno pressione”.
Non mancano ovviamente i momenti di stress, soprattutto durante gli spostamenti per le tournées: “È normale, siamo quattro e dopo lunghi viaggi spesso la tensione sfocia in discussioni. Poi, però, appena saliti sul palco ci lasciamo andare e dimentichiamo tutto”.
È proprio in scena che gli Scarecrow riescono a dare il meglio, con uno slancio e un’energia che trasportano il pubblico. “Cinque anni fa dovevamo esibirci a Strasburgo, davanti a un pubblico di 20.000 persone: in quell’occasione abbiamo proprio avvertito l’impressione di una grande folla ed è stata un’esperienza unica, una sensazione indescrivibile”.
Tuttavia, gli Scarecrow ricordano anche episodi meno esaltanti: “Ci è capitato di dover viaggiare 12 ore in camion per arrivare al luogo del concerto e alla fine la scena non era ancora allestita. Altre volte ci aspettavamo di trovare un grande pubblico, invece c’erano solo tre persone”.
Ma questo, ormai, è un ricordo lontano.
Informazioni generali
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(copyright Raphael Rocques)
Se volete leggere questo articolo in francese cliccate sul post “Scarecrow: du blues de l’hip hop…”