In occasione dell’uscita del nuovo EP “From the shore”, Deer ci ha raccontato il suo universo musicale, tinto di jazz, folk e musiche di Paesi lontani.
Nel cuore di Saint-Germain-des-Prés, a due passi dal Café de Flore e Les Deux Magots, là dove le vie non hanno perso il fascino di un tempo, abbiamo scoperto il mondo di DEER, polistrumentista che ci ha aperto le porte del suo appartamento/atelier situato al numero 22 della rue des Canettes. Vi si respira un’aria bohémienne (come per ricordarci che siamo nel quartiere degli artisti e degli intellettuali), complici i numerosi strumenti che campeggiano un po’ ovunque nella stanza principale. Doveva essere un semplice incontro per scoprire il nuovo EP di Deer, From the shore, ma a sorpresa ci siamo trovati di fronte a un artista a tutto tondo, polistrumentista, attore, fotografo e appassionato di lingue e letterature straniere (ci confessa la sua passione per Alessandro Baricco, Carlo Goldoni, Franca Rame e Dario Fo). Deer si ispira al jazz, al folk e alle musiche straniere per creare uno stile tutto suo, unico e autentico. Immerso nel mondo della musica dalla più tenera età, ad appena sette anni inizia a seguire dei corsi di pianoforte, sassofono e chitarra. Crescendo si interessa ad altri strumenti musicali come il bodhran e l’oud che impara a suonare da autodiddatta. Negli ultimi tempi, lo strumento che lo appassiona di più è il flauto amerindio di High Spirits Flutes.
- Da dove viene il tuo amore per la musica? Hai sempre sognato di diventare un musicista professionale?
L’amore per l’arte in generale mi è stata trasmessa da mio nonno André che era fisarmonicista e armonicista. Purtroppo l’ho conosciuto poco et il solo ricordo che ho di lui è che mi ha insegnato a suonare “Au clair de la lune” (“Al chiaro di luna”) col suo vecchio organo. Quindi posso dire che la passione per la musica è nata come forma di rimpianto per non aver conosciuto meglio mio nonno. In qualche modo il fatto di suonare mi ha permesso di avvicinarmi a lui. Tuttavia, fino a non molto tempo fa non avrei mai detto che sarei diventato un musicista professionale, forse perché allo stesso tempo recitavo a teatro e per me le due cose erano un tutt’uno.
- Com’è nato Deer?
Deer è un progetto nato nel 2012. Prima di allora mi dedicavo soprattutto al jazz, finché un giorno curiosavo in un mercatino quando mi è capitato fra le mani un vinile di Nick Drake, “Pink Moon“: per me è stata une scoperta eccezionale che mi ha cambiato la vita perché ho capito di avere una grande affinità con il folk e con le musiche straniere. Ed è così che ho avuto l’idea unire queste ispirazioni in un mix di jazz, folk e musiche di Peasi lontani. Ho sentito un forte bisogno di comporre musica e in due settimane ho scritto una dozzina di canzoni. All’epoca recitavo in una commedia musicale e ho incontrato il direttore musicale e produttore Alex Finkin che mi ha proposto di collaborare con lui. Abbiamo lavorato duramente per tre mesi e alla fine Alex ha scelto quattro pezzi che hanno costituito il mio primo EP.
- Il nuovo EP, From the shore, uscito il 12 febbraio, lo definisci “Selvaggio, poetico, molteplice”. Com’è nato?
Innanzitutto ho diminuito il gruppo a quattro musicisti, me compreso. Lo scopo era di alleggerire il complesso e ottenere suoni più semplici. Abbiamo preferito registrare in presa diretta, suonando tutti insieme contemporaneamente. Mi piace questo modo di registrare un po’ all’antica perché permette di condividere l’energia del momento e crea coesione fra i musicisti.
- Esiste una situazione ideale per te per comporre i pezzi ?
Per quanto mi riguarda non c’è una circostanza in particolare ma mi capita di suonare soprattutto di sera o di notte, al ritorno da una serata. È così che è nato “Old moon“, il mio primo pezzo. Mi sento ispirato anche la mattina presto, appena sveglio, mentre bevo il caffè. In generale, ogni volta che avverto il bisogno di esprimere qualcosa, mi metto a suonare. Possono essere anche cose insignificanti ma che hanno senso per me. Ad esempio, ho la passione per il baseball e ho scritto un inno per la mia squadra, a proposito dell’amore per lo sport e dello spirito collettivo. Un’altra passione che ho da sempre è la poesia (mi dilettavo a scrivere poesie quando ero piccolo): uno dei brani di “From the Shore”, “Wounded Deer”, è l’adattamento di una poema di Emily Dickinson. Questo per dire che la poesia mi ha sempre affascinato, soprattutto autori come Pablo Neruda e Federico García Lorca.
- Un’altra grande passione che ti contraddistingue è il viaggio.
È mio padre che mi ha trasmesso l’amore per il viaggio. I miei genitori sono entrambi dei giramondo e anche i miei nonni lo erano. Adoro viaggiare e sono stato un po’ ovunque in Europa, soprattutto in Italia.
- Da dove viene questa tua affinità con l’Italia?
La prima volta che sono stato in Italia era in gita scolastica a Firenze. In seguito ci sono tornato con un amico con cui facevo spettacoli nelle enoteche di Roma e di Viterbo. In pratica inventavamo canzoni in base ai piatti che i clienti ordinavano. In questo modo ho scoperto l’Italia ma anche grazie ai ruoli che ho interpretato per la Commedia dell’Arte, come la “Principessa Forsennata” di Flaminio Scala: il mio maestro era Carlo Boso, assistente di Giorgio Strehler alla Scala di Milano. La prima volta che ho recitato in Italia e in italiano è stata a Urbino. Mi appassiona anche la letteratura italiana: Alessandro Baricco è uno dei miei autori preferiti e “Novecento” è un’opera che adoro perché unisce le mie grandi passioni, il jazz e il teatro, e per di più è italiana.
- Si può dire che è proprio questo interesse per i Paesi stranieri che ti porta a esprimerti in inglese e in italiano ma non in francese?
Sì. In effetti mi sento talmente attirato dagli altri Paesi da voler imparare le loro lingue e studiarne le letterature. Per quanto riguarda l’inglese, ho iniziato suonando jazz, il che vuol dire che il 90% dei brani è in inglese. Oltre a ciò, una parte della mia famiglia abita negli Stati Uniti, a Boston, quindi anche questo ha fatto in modo che parlassi spesso in inglese.
- Com’è abitare a Parigi quando si è originari di Montpellier e amanti della natura?
In effetti la mia regione, la Camargue, ha una grande influenza sulla mia musica e si ritrova nei testi dove parlo spesso di natura, animali, vita selvaggia. Mi manca molto ed è per questo che ci torno spesso, sia per scrivere, sia per trovare l’ispirazione per fare foto. D’altra parte, il fatto di abitare a Parigi è un’opportunità incredibile per la mia carriera d’attore e per gli incontri che si possono fare in ambito artistico.
- La natura e gli animali sono una tua fonte d’ispirazione. Non a caso il tuo progetto si chiama Deer, “cervo”: come mai hai scelto proprio il cervo?
L’idea del cervo mi è venuta guardando il film di Hayao Miyazaki, “La Principessa Mononoké“. Avevo 18 anni quando l’ho visto per la prima volta e mi ricordo che mi aveva colpito la scena finale, quando appare il dio della foresta, il rappresentante degli animali sulla terra, sotto forma di un enorme cervo con la testa di scimmia. Era un’immagine sorprendente. Successivamente, mi sono documentato e ho scoperto che per molte culture il cervo è un simbolo di pace, il messaggero di Dio sulla terra. Ho registrato il nome Deer il 14 octobre 2013, subito dopo aver iniziato la collaborazione con Alex Finkin e due mesi dopo mi sono reso conto che esiste una corrispondenza fra i totem amerindiani e i segni zodiacali: l’animale che corrisponde al mio segno è proprio il cervo. Questa coincidenza sorprendente mi ha rassicurato nella scelta del nome Deer. Per di più, il cervo rappresenta anche la rinascita e siccome avevo trent’anni quando ho iniziato il progetto, sentivo il bisogno di voltare pagina.
- Possiamo dire che il fatto di girare in prima persona i videoclips dei tuoi brani è un modo per unire le tue grandi passioni, la musica e la recitazione?
Non vorrei per forza apparire nei videoclips ma ammetto che è una bella tentazione! Da una parte è positivo perché mi permette di dare un’identità a questo progetto musicale ma dall’altra ci tengo a precisare che per me Deer è qualcosa che va ben al di là della mia persona. È un progetto più importante e più vasto col quale voglio trasmettere un messaggio ecologico e altruista. Deer rappresenta una visione della vita e coinvolge numerosi artisti (di recente un mio amico musicista, Etienne Belin, ha registrato qui nel mio studio il suo EP “L’ombre sous la lune”).
- Ti sei esibito in sale da concerto prestigiose come Les Trois Baudets e La Bellevilloise, ma anche in luoghi più informali come l’estate scorsa nel sud della Francia. C’è una situazione in cui ti senti di più a tuo agio?
Preferisco luoghi non troppo grandi perché mi piace sentire il pubblico vicino. Probabilmente questo deriva dal fatto che faccio teatro: infatti, durante i concerti mi rivolgo spesso al pubblico.
- In che modo riesci a rompere il ghiaccio all’inizio di un concerto?
Mi sento ansioso, ma non come quando devo recitare. È una sensazione di ansia diversa. I primi tempi non riuscivo ad entrare in sintonia con il pubblico, forse perché ero troppo concentrato sui brani e non mi sentivo a mio agio. Ora preferisco non dire nulla all’inizio dei concerti e canto subito, senza preamboli. Cerco di percepire le vibrazioni del pubblico, di capire se sono contenti di essere lì in quel momento. Do il massimo e mi immergo nelle canzoni per farle arrivare direttamente al pubblico.
- Hai dei portafortuna?
Ho alcuni acchiappasogni che porto sul palco e ho l’abitudine di spargere dell’incenso perché mi ricorda i riti degli Indiani d’America. È un modo per accogliere il pubblico dal punto di vista sensoriale e per trasportarlo in un’altra dimensione.
- Il fatto di portare questi oggetti da casa è anche un modo per rassicurarti durante i concerti?
Sì, è proprio così. Porto con me degli oggetti che mi fanno sentire a casa. Per di più sono un appassionato di antiquariato e di conseguenza accumulo oggetti insoliti che diventano parte integrante della scena.
- Hai dei rituali prima di salire sul palco?
Sì. Io e gli altri musicisti ci prepariamo fisicamente e ci scaldiamo la voce insieme. Mi sta molto a cuore come si sentono i miei compagni perché penso sia fondamentale essere connessi con la musica e con il corpo. Anche questo deriva dalla mia formazione teatrale.
- Qual è il tuo ricordo migliore e quale invece il peggiore?
Il ricordo peggiore è un concerto in cui continuavo a dimenticarmi le parole dei testi! Era all’inizio di Deer, in un periodo in cui facevo molto teatro e tutto ciò richiedeva molta (troppa) energia. Per fortuna era una serata abbastanza intima, con poca gente. Invece il ricordo più bello è il “Deer Summer Tour 2017″ che si è rivelato un’esperienza fantastica: innanzitutto perché si è creato un vero rapporto di fratellanza con gli altri musicisti e poi perché il progetto Deer è maturato notevolmente e si è concretizzato sempre di più. Ci siamo esibiti soprattutto nel sud della Francia e abbiamo condiviso così tanti momenti e suonato così tanto da capire veramente la posta in gioco di questo progetto. Un altro bel ricordo è legato ad una prigione a Nanterre dove abbiamo suonato in occasione del Festival Trace 2018 in partenariato con il Réseau 92. Questo ci ha permesso di compiere delle azioni culturali in strutture per bambini in difficoltà. È questo il significato che vorrei dare a DEER in futuro.
- A proposito di futuro, ci sono dei progetti che vorresti realizzare con Deer?
Per me Deer è molto più di un insieme di brani: DEER significa condivisione, collaborazione, aiuto reciproco. Deer trasmette un messaggio altruista e si rivolge anche a tutte quelle persone che non possono permettersi di andare a un concerto. In futuro mi piacerebbe viaggiare con la mia musica e partire in missione con il WWF che è uno dei nostri sponsors (per ogni album acquistato 1 euro è devoluto a questa organizzazione). Inoltre, l’anno prossimo è prevista una tournée negli Stati Uniti, in California, grazie a Attuned Records che ci sponsorizza e ci fa pubblicità al di là dell’Atlantico.
Per scoprire l’universo di Deer, appuntamento il 9 giugno al Bus Palladium !
(Per leggere l’articolo in francese, cliccate qui)
Informazioni pratiche
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